Page 3 - Duelli a Roma tra beffe, garze e risate
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località, caricature e silhouettes  di persone e personaggi, lasciapassare per prendere parte a cerimonie
            ufficiali, la pianta con i posti a tavola di alcuni pranzi di Corte, la tessera di socio alla Società di Tiro a
            Segno  Nazionale.  In  questa  insalatona  di  ricordi,  di  fatti  e  avvenimenti  vissuti  c'è  anche,  e  spicca
            riservandosi  lo spazio di due pagine, l'episodio eroico di un duello. Polemiche tra giornalisti, verità e
            menzogne,  parole e frasi di fuoco, onte imperdonabili, onore calpestato, non rimane che il duello. Con
            tanto  di  guanto,  padrini  e  rituali  d'uso.  Si  può  allora  ben  capire  quanto  questo  fatto  possa  essere
            documentato  nell'album  dei  ricordi  di  Arnaldo  Mengarini,  nonno  materno  di  mia  moglie  Letizia
            Apolloni. L'album è conservato nel Fondo Ceccarius alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.
             Mengarini  si  firmava  "Tegamini".  Era  allora  assai  di  moda,  tra  giornalisti  e  scrittori,  darsi  degli
            pseudonimi  e  questo  da  lui  scelto  era  forse per  far  rima  col  suo  cognome  Mengarini  o  magari  per
            qualche predilezione alimentare al "tegamino". In famiglia di questo soprannome se ne è sempre parlato
            ma  non  se  ne  è  mai  saputa  l'origine.  Fatto  sta  che  "Tegamini"  lavorava  come  brillante  cronista  al
            Fanfulla giornale di Roma, di parte moderata , ritenuto un quotidiano "serio nel fondo ma ameno nella
            forma". Come reporter (fu uno dei primi ad esercitare questo tipo di attività) Mengarini frequentava
            tantissimi  ambienti  della  Roma  fine-secolo:  Governo,  Montecitorio,  arte  ed  esposizioni,  la  Corte  al
            Quirinale, Caffè Aragno, . Il duello avviene tra lo sfidante "Tegamini" e Felice Oddone corrispondente
            de L'Epoca di Genova che anche lui, tanto per cambiare, ha uno pseudonimo, "Felice Zena". Qualche
            giorno prima, a Roma c'è stato un violento sciopero per la crisi edilizia:"Tegamini" riporta il fatto da un
            punto  di  vista  assolutamente  opposto  a  quello  di  "Zena".  Diverbio  giornalistico  furibondo,  volano
            parole grosse, Mengarini si ritiene offeso e, come dice un verbalino del 18 febbraio 1889 "…il duello
            seguirà  alla  sciabola  senza  esclusione  di  colpi…"  È  ovvio  che  un  avvenimento  come  questo  sia
            abbondantemente documentato nell'album di ricordi. E nelle due epiche pagine, fra ritagli di giornali,
            cartelli di sfida, controfirme dei padrini e verbali, ecco, come una reliquia, appare una garza imbevuta di
            sangue  ormai essiccato.  Mengarini  "Tegamini" perse la sfida.  Sotto  la storica garza  una  malinconica
            didascalia scritta a mano: "Sangue versato in duello".
               - E i duelli per ridere ? Chissà quanti ce ne sono stati ma a casa nostra ce n'è stato uno che è rimasto
            famoso; per questa ragione se ne è parlato e riso tra noi per tanti anni. Io nascevo proprio in quell'anno,
            il 1927. Era estate. Ceccarius, collaborava allora a La Tribuna  e a Roma d'estate non succedeva niente di
            particolarmente  interessante.  Solo il  caldo,  l'afa,  il  desiderato  ponentino,  tutti  in  villeggiatura,  niente
            altro. Non si sapeva che scrivere e il giornale aveva viceversa bisogno di notizie, di fatti, di polemiche.
            Mio padre era anche molto spiritoso ed arguto e, quando era il caso, sempre alla ricerca d'inventare  ed
            organizzare  qualche  scherzo  preferibilmente  nell'ambito  e  nel  sottofondo  culturale.  Per  muover  le
            acque  e  con  motivata  serietà  intervenne  sul  suo  giornale  proponendo  di  verniciare  di  verde  il
            Monumento a Vittorio Emanuele II, in realtà mai molto amato dai romani. Vincenzo Cardarelli era un
            grande e venerato poeta ma era un uomo del tutto privo di spirito; oltre tutto, poi, amava molto il
            Vittoriano la cui lenta e complessa costruzione coincideva con gli anni del suo arrivo a Roma. Prese
            quindi malissimo e  con  grave  preoccupazione  la proposta di  Ceccarius. Lo  sfidò a  duello.  Figurarsi
            Ceccarius.  Era  una  persona  deliziosa,  con  civilissima  pancetta,  non  sapeva  nuotare,  non  andava  in
            bicicletta, non sapeva tirare di scherma, non aveva mai preso in mano una sciabola neanche quelle finte
            per  il  carnevale  o  per  il  teatro  filodrammatico.  Non  era  davvero  per  lui  avventurarsi  in  un  duello.
            Accettò la sfida, furono mandati i padrini, definito il posto per lo scontro, i medici di soccorso. Fu
            rispettato nei minimi particolari tutto il protocollo per il duello. Due botticelle (così venivano chiamate
            le carrozzelle a Roma), vennero a prendere i contendenti e i loro padrini. Giunsero insieme nella stessa
            ora sul luogo prestabilito che non era altro che l'antica trattoria di Romolo a Porta Settimiana dove i rivali
            furono accolti  da uno scroscio di  applausi  di  tanti  loro  amici comuni  e  dell'intellettualità  romana di
            quegli anni : Baldini, Bellonci, il giovanissimo Moravia, Tecchi, Trilussa, Bragaglia, Vigolo e tanti altri,
            tutti pronti a tenere tavola imbandita e a constatare come non fossero tramontate le arti gastronomiche
            romane fatte, almeno allora, di cose semplici e genuine. Una bellissima e decorosissima mangiata. Tutto
            era  stato  inventato  e  realizzato,  dal  principio  alla  fine,  dalla  briosa  finezza  e  dal  vivace  spirito  di
            Ceccarius. In questa maniera aveva dimostrato come il duello stesse tramontando.. Poi, accortamente,
            con questa trovata, aveva evitato di partecipare ad un duello, ma ti rendi conto, di quelli veri. Era la
            cosa che più gli stava a cuore.


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