Page 3 - Francesco Ripandelli
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Ripandelli. Conobbi Lombardi nel suo caffè: era già avanti con gli anni, era un pezzo d’uomo con una
faccia bellissima e mi sembrò uno di quei ritratti di vecchi romani delle incisioni di Bartolomeo Pinelli.
Giustamente Sergio Valentini riporta spesso versi di questo poeta dialettale per accompagnare il suo
racconto sul rione. Altre citazioni sono riprese da quanti altri si sono ispirati a Roma, ai suoi costumi,
alle maniere e ai modi di questa nostra città: primo fra tutti Belli, poi Pascarella, Zanazzo, Petrolini,
Baracconi, About e tanti altri che costituiscono la lunga bibliografia. Nell’ elenco bibliografico è
interessante incontrare il nome dello stesso commissario Ripandelli che nel 1930, ormai in pensione,
volle raccogliere in una serie di articoli i suoi ricordi di poliziotto per Il Piccolo, il giornale del pomeriggio
de Il Giornale d’ Italia.
Nel variegato excursus che Sergio Valentini fa di Trastevere di quegli anni che lui definisce “ruggenti”,
c’è di tutto: non mancano, allora, fatti e misfatti dei bulli trasteverini: “ puncicate “, coltelli a molletta,
relativi sbudellamenti, “ passatelle ” col morto, duelli per gelosia, per onore, per chi era “ Er più “,
fattaci e delitti anche fuoriporta, nelle campagne vicino a Roma, dove il bravo Ripandelli col fido
brigadiere Muolo, dipana e risolve oscuri e complicati delitti di campagna in un ambiente di antica ed
ignorante cultura contadina.
Amo Trastevere, sono nato a Trastevere, in via Corsini, uno dei posti più belli del pianeta,
davanti a quella meravigliosa magnolia, a fianco di Palazzo Corsini. Certe cose del rione sono rimaste
nella mia pelle e nel mio animo. Per esempio mi sono commosso alla lettura della toccante descrizione
che Valentini fa della processione del 16 luglio, quella della Madonna de Noantri cui, da ragazzino,
assistetti. …In testa il mannataro dell’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e Madonna del Carmine, il
mannataro di San Gregorio dei Casi Disperati ed il mannataro dei fratelloni di San Giovanni Decollato; poi un
drappello dei Reali Carabinieri a cavallo; poi il crocione coi due tronchi messi in croce, lo stendardo ed il baldacchino della
Madonna de Noantri; poi a due a due, i ragazzini della dottrinella, le bambine in abito da sposa, carmelitani, certosini,
cistercensi e humiliati di Sant’Agostino; poi, in ordine sparso, uomini e donne…( devo spiegare che i “ mannatari “
sono alcuni laici che vengono utilizzati come inservienti delle Confraternite nelle processioni ). La
descrizione è armoniosa e ricorda certe atmosfere di Giuseppe Gioachino Belli. Una ventina di anni
prima, nel periodo di forte contrasto fra la Chiesa cattolica e il nutrito raggruppamento dei laici,
avvenne che si formasse, proprio in quel 16 luglio, una contro-processione. A poche centinaia di metri
dalla tradizionale processione “ de Noanri “ s’ incamminava un irridente corteo …in uno sventolio di
bandiere rosse e nere, gli anarchici, termine che stava ad indicare tutte le frange e correnti del libero pensiero, socialisti,
repubblicani, mazziniani, garibaldini. Lo scontro era fatale e il delegato Ripandelli, con la fascia tricolore, era
pronto a far suonare i tre famosi squilli di tromba come la Legge prevedeva per sciogliere una
manifestazione che ormai si era fatta incontrollabile. Ripandelli pensò che con le cattive, non si sarebbe nulla
ottenuto, e che bisognava ricorrere all’astuzia e alla furberia. Una folgorante trovata alla San Filippo Neri:
mandò subito di corsa il fedele brigadiere Muolo dal campanaro di San Crisogono e dopo da quello di
San Giovannino della Malva invitandoli a suonare a tutta forza le loro campane. E via via - racconta
Valentini – per imitazione, o emulazione, o sfida, magari per tema che in qualche parte della città fosse scoppiato un
incendio, o che il fiume bojaccia fosse uscito fuori, suonarono tutte le altre campane di Roma. L’aria della forte contesa
era stata spiazzata dalle tante campane di Roma e da questo inaspettato scampanio. Prosegue Valentini:
Si mescolarono anche i due cortei, quello della Madonna de Noantri che finalmente aveva raggiunto San Crisogono e
quello dei rivoluzionari che avevano smarrito la strada per piazza Romana sede del comizio conclusivo. “ E se ci
facessimo una fojetta ? “, propose il cavalier Ripandelli a quei fedeli ed infedeli assordati, assatanati dalla scarpinata, dal
caldo dalla sudarola, dal frastuono, dalla sete. A furia di fojette, passatelle, parolacce, giaculatorie e stornelli zozzi, nelle
osterie di Trastevere fecero notte: anche fra Teodoro dei carmelitani calzati di San Crisogono, anche il capodivisione del
Ministero delle Finanze commendator Alvini. Questo era Francesco Ripandelli, commissario di P.S. di
Trastevere.
Il delegato, uomo del Mezzogiorno, al suo arrivo a Roma cerca subito di inserirsi nello spirito e nei
costumi locali, si sforza anche di parlare in dialetto: non ci riuscirà e si esprimerà, sempre, in uno
strambo e spassoso romanesco spurio, pieno zeppo di inflessioni meridionali da barzelletta sui
poliziotti. Chissà come si sarà trovato in mezzo a quel parlare trasteverino, colmo di soprannomi, così
tipici nel dialetto romanesco ? Sergio Valentini nel colorito racconto rionale questi epiteti ce li fa
conoscere ed io mi sono divertito ad elencarne qualcuno: Arubbastracci, Er Callalessa, Corazziere,
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