Page 3 - Ruspoli
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quali,  assai  spesso,  i  sodali  nell'esprimere  giudizi  specie  nei  riguardi  dei  versificatori,non  facevano
            davvero i complimenti.
             Avevano  grosso  modo  ragione  perché  la  poesia  romanesca  ,  la  "povesia",  nel  suo  insieme  non  è
            sempre accettabile ( anzi  quasi mai ) sia per i temi (logori e ripetitivi) sia per i versi (male arrangiati e
            volutamente sguaiati e volgari per fare effetto). Insomma, i poeti romaneschi della domenica erano, e
            sono tuttora,  inesorabili.  In  breve  e  all'incirca,  gli  argomenti  poetati  erano,  e  ahimé,  sono  al  solito:
            mammamia, il ponentino, la pennichella, lassatece passà semo romani, la fojetta, l'ultima carrozzella,
            eccetera.  Ma è  difficile  uscirne.Probabilmente  è  che  proprio  l'anima  romana,  il  volto  popolare  dello
            spirito bonario,pacioso, mangione, imposto dall'immaginario capitolino, l'aria pesante di Roma, il lato
            greve  della  sua  gente  sono  il  fondamento  di  questa  poesia.  Quella  della  domenica.  Ha  visto
            probabilmente  bene  Petrolini  che  diceva "…Roma…dell'obbelischi,  delle  fontane  e  de  li  gnocchi ar
            giovedì…"
            Francesco Ruspoli è anche lui poeta e recita le sue opere in queste riunioni; ma egli è però lontano mille
            miglia dai poeti dialettali della domenica. I suoi spunti sono nuovi, escono elegantemente dal bla-bla
            romanesco. Durante la  dizione delle sue poesie, da parte degli impietosi ascoltatori Romanisti (in alcuni
            momenti sembrava di stare allo Jovinelli o in qualche altro avanspettacolo romano) c'era viceversa la
            massima  attenzione  e  un  consapevole  e  sincero  apprezzamento.  Non  era,  ne  sono  sicuro,  il  nome
            importante e il naturale signorile aspetto del poeta Principe Ruspoli a far da scudo alle consuete e quasi
            sempre immancabili intemperanze degli implacabili Romanisti. Di questi pacifici e sereni  (una volta
            tanto) interventi poetici, Ceccarius, nella sua prefazione a Pidocchietto , il libro del 1964, ora ristampato,
            che raccoglie le poesie di Ruspoli, ne da questa precisa testimonianza:

            Nelle riunioni dei  " Romanisti " alle quali sovente Francesco Ruspoli, principe di Cerveteri, si compiace di intervenire, è
            facile che egli, aderendo alle insistenze degli amici, offra la gradita primizia di qualche sua poesia. Prendendo lo spunto da
            avvenimenti politici o da personali sensazioni sui fatti del giorno con quello " spiritaccio " romanesco innato negli autentici
            patrizi romani, Francesco Ruspoli trae serenamente da essi un componimento poetico, che pur nel rispetto alla metrica, al
            dialetto di sempre, intercala dizioni di oggi con spontanea naturalezza.
            Anche il modo di dire giova a tale spontaneità: naturale, sereno, ma non monotono.
            Allorché ho il piacere di ascoltarlo, mi sembra nella maniera del suo parlare  di riudire Trilussa, che nell'apparente
            monotonia di un'inalterate cadenza giungeva all'efficacia della battuta finale o creava, affermandola, la  " morale " di una
            favola. Sempre nello stesso tono. Modo di esprimersi conforme al carattere del Poeta.
            Pidocchietto:
            A Roma, normalmente, per Pidocchietto s'intende un locale pubblico misero e maltenuto; è insomma,
            un posto di infimo ordine. (in genere è un piccolo cinema, o  un baretto, o un teatrino, o peggio, ma più
            consono, un "barba e capelli" ). No, il Pidocchietto  che ci riguarda ha un altro significato: è un sonetto da
            cui prende il titolo il volume di Ruspoli e si riferisce al soprannome di un poveruomo che chiedeva
            l'elemosina a Ponte Sisto, eletto dall'autore  ad una specie di statua parlante, un rinato Pasquino," un
            figlio del parlar chiaro". Ne crea e ne viene fuori una maschera che, più che parlare chiaro, frusta e
            punge,  in  tutte  le  direzioni,  colpendo  persone  e  situazioni  reali  facilmente  riconoscibili  negli  anni
            dell'ultimo dopoguerra: sono versi che mescolano ironia e sarcasmo, caricatura e dileggio. Ma è poesia
            mai offensiva, mai sgarbata, sempre composta e beneducata. In definitiva un genere di civilissima satira
            che va tranquillamente a segno.
            Una  singolare  analogia  quella  che  lega  Francesco  Ruspoli  all'omonimo  Francesco  Ruspoli,  letterato
            fiorentino (1573-1628), autore in quella che poi fu denominata la "poesia satirica e giocosa" dell'ultimo
            trentennio  del  Cinquecento.  Anche  Francesco  Ruspoli  "il  vecchio"  scrive  poesie  satiriche,  molto
            mordaci e, a differenza di Francesco Ruspoli "il giovane", molto oscene al punto tale che, prima di
            morire, ne distrugge gran parte. Quelle giunte a noi, dopo la ripulita, satireggiano in guisa secentesca
            l'ipocrisia e la dissolutezza dei "pedanti", i nostri attuali educatori e maestri.
            Le poesie raccolte in Pidocchietto vanno considerate una ad una e in tutte, oltre alla facilità di lettura del
            verso, c'è il piacere di esaminare come un poeta (ricordiamo "romanesco")  abbia potuto svolgere ed
            illustrare, in forma satirica e graffiante, i guai, le delusioni, le speranze, il malcostume da lui registrati e
            subìti in quegli anni difficili. Nei versi, ovviamente, figurano parole e nomi di quell'epoca, che possono


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