Page 2 - Genta a Roma
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GIULIO ALBERTINI                                          Direttore di scontro





                   Persino a Roma, città poco passionale e molto scettica, il duello veniva preso abbastanza
            sul serio. Per forza: ormai ci abitavano anche i non romani e soprattutto c’erano il Governo e il
            Parlamento,  naturali  vespai  di  polemiche,  di  controversie,  di  risse  verbali  e  no  che  facilmente
            andavano a finire in roventi duelli. Qualche volta ci scappava il morto. Come capitò all’on. Felice
            Cavallotti, uomo politico repubblicano ucciso in duello alle tre del pomeriggio del 6 marzo 1898

            dall’on.  Ferruccio  Macola,  liberalmonarchico  e  direttore  della  Gazzetta  di  Venezia,  nella  villa
            Macchi di Cellere, fuori Porta Maggiore. Costernazione e cordoglio generale. Un altro ambiente
            dove proliferavano  i  duelli  era quello  dei  giornali:  beghe,  chiacchiere, pettegolezzi  e  dispute  di
            redazione  e  tra  testate  concorrenti  portavano  fatalmente  al  duello,  ultima  spiaggia  per  la

            salvaguardia  dell’onore.  Gli  scontri  erano  frequentissimi:  guai  a  non  battersi  e,  data  l’assoluta
            incapacità al combattimento di molti giornalisti, in qualche redazione c’era addirittura un maestro
            di  scherma,  fisso,  stipendiato  dall’amministrazione  per  impartire  frettolose  lezioni  ai  più
            sprovveduti.
                   Tutta  la  società  era,  d’altronde,  basata  sull’onore  e  le  contese,  le  liti  e  i  risentimenti
            finivano inevitabilmente con i duelli. Molti causati da questioni di donne.

                   Il Codice Penale  entrato in  vigore  nel  1890 prevedeva  gravi  sanzioni  non soltanto per i
            contendenti,  ma  anche  per  il  pittoresco  contorno  di  padrini,  giudici,  medici  e  proprietari  del
            terreno di scontro: servì a ben poco. Invece, quello che veniva scrupolosamente osservato era il
            Codice di Cavalleria del cav. Jacopo Gelli, una normativa di regole basate non sulla Legge penale
            ma  sulla  Legge  dell’onore,  la  sola  che  il  gentiluomo  doveva  osservare:"Le  leggi  cavalleresche"  –

            recitava il Codice Gelli – "costituiscono un insieme di leggi sacrosante accettate da coloro che si
            appellano  al  duello  per  risolvere  le  loro  querele".  Nella  vita  cavalleresca,  emergeva  la  figura
            cardine del direttore di scontro, qualcosa tra il confessore, il medico e il giudice, al disopra delle
            parti e soprattutto depositario delle vicende che avevano portato allo scontro, vicende su cui il
            riserbo era perentorio, quasi sacrale e di cui solo lui custodiva la documentazione. Dirigeva poi,

            arbitro assoluto, le fasi del combattimento alla luce delle complicatissime regole della cavalleria.
                   Il colonnello  Giulio  Alberini  era, appunto,  un direttore  di  scontro  e  conseguì  il  record,
            raro e terribile, di 432 duelli diretti in poco più di trent’anni del Novecento romano. Figlio di un
            ufficiale di Cavalleria, Cavaliere egli stesso (in tutti i significati, militari e mondani), frequentò la
            Scuola Magistrale di scherma quando per un soldato il dovere di chiedere soddisfazione e quello

            di concederla erano racchiusi nello  stretto  giro  di  24  ore.  Celebri  spadaccini  del  tempo,  Parisi,
            Masaniello,  Pecoraio,  Pessina  e  soprattutto  Agesilao  Greco  gli  insegnarono  a  tirar  di  scherma
            Abitava  all’Aventino  dove  conservava  alcune  voluminose  valigie,  tutto  il  materiale  segreto  dei
            duelli  diretti.  Durante  l’ultima  guerra  il  colonnello  Alberini,  aiutato  dai  familiari,  si  caricava  i
            valigioni e scendeva in rifugio. Su quelle valigie, in caratteri grandi e chiari, c’era scritto: CIBO
            SPIRITUALE. Come da disposizioni testamentarie, alla sua morte, quelle carte sarebbero dovute

            andare alle fiamme: niente si doveva sapere, mai.


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