Page 7 - Genta a Roma
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ALFREDO (Alfredo Di Lelio) Il re delle fettuccine
(1882-1959)
Alfredo, il proprietario dell’omonimo ristorante, era divenuto un’istituzione romana e
costituiva un autentico richiamo turistico internazionale, una tappa obbligata del pellegrinaggio
straniero, specialmente americano. Lo avevano incoronato "Alfredo king of the nouilles", sì, il re
delle fettuccine. Nato a Trastevere, da ragazzino aveva lavorato nella modesta osteria del padre
che si trovava nella strada di S. Maria in Via. Lì, tra i fornelli della cucina, raffinò il suo gusto e
maturò la sua esperienza. Nel 1914 aprì per conto proprio un ristorante in via della Scrofa che,
nei primi anni '20, raggiunse un successo strepitoso, soprattutto tra gli stranieri, grazie a un’idea
geniale e coraggiosa nella sua estrema semplicità: offrire la pasta in bianco in una città che a tutto
mescola il pomodoro. Ma che pasta in bianco! Le "fettuccine al doppio burro maestoso", come si
leggeva con epica nomenclatura nel menu, divennero il piatto forte di Alfredo, la specialità del
locale. Alla sua innata perizia gastronomica, il proprietario aggiungeva una specie di spettacolo
per intrattenere ed allietare i clienti. Nel locale c’era sempre un’orchestrina napoletana. "Le mie
fettuccine" – diceva Alfredo – "e qualche nota di Oi Marì riescono a guarire ogni forma di
gastrite". Alla mistura gastronomica-musicale seguiva, poi, una particolare cerimonia, quasi una
pantomima, che era l’offerta delle fettuccine al cliente: un vero e proprio teatro dell’arte. Le
fettuccine, appena cotte, venivano avvicinate al tavolo da uno dei camerieri, su di un normale
vassoio; l’avventore religiosamente aspettava che gli venissero scodellate nel piatto. Si
attenuavano le luci della sala. A questo punto vale la pena di riportare la descrizione del rito che
ne ha fatto Paolo Monelli nel suo Ghiottone errante:”Compare il trattore, baffi e pancetta da
domatore, impugnando una posata d’oro; e si avvicina al piatto delle fettuccine. La musica tace,
dopo un rullio ammonitore che ha fatto ammutolire anche i clienti in giro. Il trattore sente
intorno a sé un aureola di sguardi. Alza forchetta e cucchiaio al cielo, come per propiziarselo; poi
li tuffa nelle paste, le sommuove con un moto rapido, matematico, il capo inclinato, il respiro
trattenuto, il mignolo sospeso. Due camerieri, impalati, assistono al soglio. Pesa intorno il
silenzio. Finché la musica scoppia in allegro brio, il trattore ripartisce le porzioni, poi va a riporre
la posata d’oro, e scompare".
Riaccese le luci, Alfredo ricompariva tra gli applausi, ringraziando e inchinandosi più
volte, in modo bonario ed enfatico insieme che lo rendeva simpaticissimo a tutti i presenti.
Analoga azione scenica avveniva all’entrata in sala, assolutamente buia, delle altrettanto
celebratissime crepes Suzette: l’oscurità favoriva la magica visione delle fiamme azzurrine delle crepes
cotte con l’alcol profumato, mosse e mescolate sempre con le famose posate. Il commento
musicale era stavolta la sospirosa canzone napoletana Santa Lucia.
Uomini di Stato, attori, scrittori, ambasciatori e perfino sovrani affollarono il ristorante
"Alfredo" in via della Scrofa trasferitosi, in un secondo tempo, dopo il 1943, a piazza Augusto
Imperatore. Vi mangiarono Laval, Binda e Guerra, Petrolini, Musco, Umberto di Savoia, tutte le
stelle del "muto", Ojetti, D’Annunzio. Le famose posate d’oro erano state un prezioso dono di
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