Page 3 - Le iconoclastiche scorribande romane di Vittorio Imbriani
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rovente  anno  della  rivoluzione,  il  ’48,  con  lo  stravolgente  nome  proprio

                        “Quarantotti”. Insomma un’ ubriacatura risorgimentale.
                               Tutto questo per far comprendere fino a che punto e quanto profonda

                        e  capillare  in  ogni  suo  aspetto  fosse  la  sacralità  laica  italiana  durante  il
                        Risorgimento  e  dopo  l’Unità.  E  pure  per  addentrarci  ai  tempi  di  Vittorio

                        Imbriani,  uno  dei  componenti  della  celebrata  famiglia  di  patrioti.  Anche  lui,
                        (1840-1886)  come  il  padre  e  i  fratelli,  partecipò  in  pieno  alle  vicende  del

                        Risorgimento: combatté con Garibaldi nel 1859 e nel 1866, e, dopo Bezzecca,
                        patì la prigionia in Croazia; ma in definitiva, al di fuori delle sue eroiche gesta,

                        fu  prevalentemente  un  letterato  e  giornalista,  professore  di  estetica
                        all’Università di  Napoli,  collaboratore  di Francesco  De  Sanctis nell’ambiente

                        accademico napoletano. Fu anche autore di odi “barbare”, prima di Carducci.

                        Battagliero  sempre  ed  incorreggibile  polemista  per  tutta  la  sua  vita.  In  ogni
                        direzione:  in  politica,  in  filosofia,  nella  letteratura.  Però  Vittorio  Imbriani,  a

                        differenza  di  tutta  la  famiglia  forsennatamente  repubblicana,  è  un  ardente
                        monarchico di tendenza autoritaria: vede come il fumo agli occhi Mazzini e i

                        repubblicani, Catteneo e i federalisti. E’ per uno Stato laico, lontano da ogni
                        chimera  rivoluzionaria  ed  è  accanitamente  contro  la  Sinistra  democratica  al

                        Governo.  E’  un  convinto  mangiapreti,  specie  verso  la  persona  di  Pio  IX,
                        ultimo Papa Re, ormai relegato in Vaticano.

                        Nei  numerosi  suoi  scritti  trasuda  uno  spirito  innovatore,  bizzarro,  ironico,
                        talvolta  sarcastico.  E’  spregiudicato  e  vuole  rivoluzionare  tutto  (antichi

                        monumenti  celebrati  da  sempre,  opere  d’arte  indiscusse,  artisti  famosi,
                        panorami,  usi  e  costumanze di  antica tradizione). Un  vero  e proprio bastian

                        contrario.  Un  controcorrente.  Prevenuto?  Non  sempre.  La  sua  sincerità  lo
                        piazza fra gli scrittori più caratteristici e originali della seconda metà dell’ ‘800. I

                        suoi sono giudizi nuovi e, il più delle volte condivisibili se non altro per il loro

                        autentico  e  divertito  anticonformismo.  Gianfranco  Contini  nella  sua  La
                        letteratura  dell’Italia  unita  (Firenze,  Sansoni,  1967)  lo  ha  ribattezzato  come  un

                        “antesignano  del  Novecento  espressionista,  un  Carlo  Emilio  Gadda  della
                        nuova Italia.”

                               Ne fa prova la raccolta di sue corrispondenze da Roma uscite sotto il
                        titolo di Passeggiate romane pubblicate a cura di Giuseppe Iannaccone, con una

                        prefazione del Sindaco di Roma Walter Veltroni, in un’elegante volumetto della
                        “Salerno Editrice”, nella collana “Faville”, diretta da Eugenio Ragni. (11 Euro).


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