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Teatro" Arlecchino", in via S. Stefano del Cacco, dietro palazzo Altieri, l'attuale
Teatro Flaiano. Il piccolo locale era nato ai primi del '900 come Teatro dei
Fanciulli con spettacolo di marionette; dopo l'ultima guerra è la sede di un
cabaret molto vivace, frequentato da una cerchia di intellettuali; vi si svolgono
atti unici e dibattiti culturali. Poi diventa un night-club, poi ancora una
traballante Casa della Cultura .Fabrizi fa fare dei lavori di restauro e di
adattamento, il pittore Angelo Urbani del Fabbretto dipinge un olio di
Arlecchino e cura le decorazioni della sala, attrezzature elettriche
modernissime, arredamento perfetto, camerini ineccepibili. Fabrizi non ci
reciterà mai. Peccato. Sono gli anni delle continue richieste cinematografiche, il
periodo d'oro per l'attore, tutti lo vogliono per film buoni e cattivi. Non ha il
tempo per poter formare una compagnia, per poter calcare il palcoscenico del
suo "Arlecchino". In seguito, mestamente, lo affitterà.
L'altro rammarico, quello del Marchese del Grillo, è di essere arrivato tardi
dopo che la parte era già andata ad Alberto Sordi. Interpretare il Marchese,
personaggio del '700 romano tra storia e leggenda, è stato sempre il sogno della
sua vita. Pare che persino Visconti volesse ad un certo punto farne un'opera
con Fabrizi. Ma le cose vanno molto a rilento; nel 1976 Visconti muore,
Fabrizi non è più giovanissimo e il progetto va per aria. Ancora peccato.
Un romano così autentico, così pienamente romano non può ignorare la
cucina della sua città. Fabrizi non l'ignora. Fabrizi, addirittura, l'ama. È un
amore naturale con tutto il corredo oleografico e risaputo del "magnone"
romano: il "panza mia fatte capanna", la"fojetta", "a' coda", "a' pajata" eccetera.
Mai visto nell'immaginario un romano anoressico o inappetente .Non fa ridere.
Fabrizi, per contratto, deve far ridere. La coercizione del convenzionale
personaggio romano, obbligatorio per la scena, s'inserisce istintivamente nella
persona privata Fabrizi che ha, ma proprio sul serio, un trasporto vero e una
notevole perizia sulla gastronomia romana. Diventa quindi un valentissimo
cuoco. E, ritorno alla vocazione di sempre, la passione e la competenza
culinaria la mette in versi. passando dalle paste ai sughetti, dai frittarelli al pane,
dalle minestre ai minestroni, Non è certo la prima volta, anzi è frequentissimo,
che la cucina sia il campo più battuto della "povesia" dialettale romanesca, oltre
al filone "de mamma mia bella" e di "Roma nostra che nun c'è più". Ma, credo
sia fatale, è l'aria greve di Roma, che è sempre esistita e ancora esiste .Per la sua
cucina Fabrizi raggruppa i vari ricettari gastronomici in sonetti, raccolti in più
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