Page 88 - Genta a Roma
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personale ammonta a centocinquanta unità. È una fabbrica, un’azienda, una piccola industria
dell’alta refezione, è l’apoteosi del benessere della via Veneto degli anni '60 e '70.
L’inaugurazione di questa cattedrale culinaria è impostata alla luce della più austera
sacralità: un alto prelato del Vicariato, rivestito dei sacri paramenti, officia il Rito della
benedizione dell’opulento locale. Massima soddisfazione del compunto Victor, che riceve in
quest’occasione anche il riconoscimento dell’Autorità religiosa di Roma, frutto dei buoni rapporti
intessuti al tempo dell’Anno Santo.
La mondanità sfrenata, quella di V ictor, non sarà presente nel giorno della santa benedizione, né
frequenterà il mastodontico esercizio, neanche in futuro. Il Café de Paris sarà il locale prediletto da
un altro genere di clientela. Via Veneto ormai si è imborghesita nel modo più serioso, è una
strada della City romana con le grandi banche, gli uffici delle linee aeree internazionali,
specialmente quelle arabe, carovane di turisti internazionali, specialmente giapponesi, alla ricerca
della Dolce Vita che non c’è più. C’è, viceversa, qualche annoiato fotografo in agguato pronto a
riprendere qualche eccitante avvenimento, che non accade. Ma non si può sapere mai. E aspetta.
Più di una volta si cerca di rilanciare la strada con ben orchestrate campagne di stampa,
con mostre fotografiche rievocative, interviste televisive a qualche imbalsamato protagonista di
quei tempi, forzati concorsi letterari a premio. Ma non c’è niente da fare: quella via Veneto lì è
morta definitivamente. Tutto questo a Victor non interessa più che tanto. Anche lui ha concorso,
nel bene e nel male, alla trasformazione della strada, da sobriamente elegante a vistosamente
elegante, da autentica a fasulla. Quel che gli importa è che l’azienda, così com’è, va ottimamente,
gli avventori, sempre numerosi, mangiano in fretta gli "spuntini", pagano e tornano al lavoro.
Tutto funziona, tutto è perfetto, tutto è gustoso anche se l’atmosfera, nel suo insieme, è asettica e
noiosissima.
Appena conclusa l’operazione di questo sfavillante snack, alla fine del 1961, Victor apre il
Sans Souci, un più che lussuoso ristorante in via Sicilia, poco distante da via Veneto, definito da
lui come il"ristorante dei protagonisti". Ed è vero, ci va a mangiare l’emergente categoria sociale
rappresentata dai "vip", potenti e ricchi affaristi, autorevoli faccendieri, accompagnati da rapaci
politici con le loro donne e dai servizievoli portaborse.
Nel corso degli anni '70 il Café de Paris è colpito da tre scioperi a catena di tutto il
personale, fatto abbastanza normale per un’azienda di così rilevanti dimensioni, ma Victor accusa
male il colpo. Non è abituato alle vertenze sindacali, lui che ha sempre e solamente trattato
singolarmente con un ristretto numero di affezionati dipendenti, più fedeli amici che tali. È poi
anche un po' stanco e quando una multinazionale del settore della ristorazione gli propone
l’acquisto del Café de Paris lo vende, senza esitazioni e rimpianti.
In fondo, la vera passione di Victor era d’intrattenersi con la bella gente, di farla divertire
e di preparare, solo lui, memorabili cocktail. Accompagnato da questi ricordi, fondamento della
sua vita, si ritira in un solitario e tranquillo esilio nella sua villa di Grottaferrata dove muore
novantenne.
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