Page 8 - Su Pascarella
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Palazzeschi, Campanile, Moravia, Trilussa, Jandolo, Dell'Arco ed altri. Non poteva mancare l'amico
Pasca. I versi sono:
Eppure er mare…er mare, quan'è bello
Che vedi quel'azzurro der turchino
Che te ce sdraj longo lì vicino
Te s'apre er core come 'no sportello.
Pascarella (da La scoperta de l'America)
Mi raccontò Ceccarius ancora altri ricordi pascarelliani: quando Pasca, in uno di quegli
indimenticabili tramonti romani, nel vano di una finestra aperta sul Pincio, gli aveva recitato
sommessamente alcuni sonetti di Storia nostra, ancora avvolta nel misterioso silenzio che l'Autore si era
imposto. Ma i versi erano detti mestamente a bassa voce, con molta incertezza e timore. Era
evidentemente il doloroso segnale della sua insoddisfazione di quel che aveva scritto e della
preoccupazione di non aver ancora portato a termine la sospirata opera. Questa recitazione così stanca,
pacata e insicura non era più la sua, concitata e rappresentativa, come quella - precisava Ceccarius -
potentissima e commossa che aveva sentito lui stesso da giovane all'Argentina nel 1911 nel quadro delle
celebrazioni della proclamazione del Regno d'Italia. E mio padre, nostalgico, rievocava quella che fu
una serata delle grandi occasioni con l'intervento dei Sovrani e di un pubblico enorme. Un travolgente
entusiasmo. Il poeta che indossava un abito da sera dal taglio perfetto si rivelò, come sempre, interprete
di straordinaria efficacia nel gesto, nello sguardo, nel passare agitato da un punto all'altro della ribalta,
nell'accentuare con tono più calmo della voce la gravità delle vicende che descriveva attenuandolo nei
momenti patetici. Una rappresentazione epica di poesia dialettale secondo gli schemi del teatro
all'antica italiano. Quanta distanza dalla melanconica misantropica vecchiaia degli ultimi tempi.
Sì, gli ultimi tempi della sua vita, sempre più tristi. Il peso degli anni per Pascarella si fece
sempre più grave e gli acciacchi lo costrinsero prima a un ricovero nella clinica del suo caro amico prof.
Oreste Margarucci poi a rinchiudersi in casa, accettando appena le cure del portiere, l'affezionato
Roberto. Alla fine, serenamente, se ne andò per sempre l'8 maggio 1940, un mercoledì, alle 12,45,
all'età di ottantadue anni. Amò andarsene in silenzio: "Solo e lontano da tutti", come aveva desiderato.
Lasciò un testamento molto simile a quello di Luigi Pirandello, suo amico e collega all'Accademia
d'Italia: "Voglio il carro dei poveri; la mia morte sia resa nota dopo tre giorni dalla tumulazione del mio
corpo." Unanime fu il rimpianto. Qualche mese dopo l' Accademia d'Italia annunciò che in seguito alla
scomparsa di Cesare Pascarella, aveva potuto effettuare " l' acquisto di tutti gli scritti ed autografi del
poeta ed assicurarsi la proprietà dei diritti d'autore, e provvedere alla pubblicazione degli scritti editi ed
inediti di Storia nostra attesa da tutto il pubblico colto d'Italia ". Nello stesso anno Ugo Ojetti nella sede
accademica della Farnesina commemorò lo scomparso con cuore fraterno e con sincero rimpianto. Ma
già dal 10 giugno 1940, e il poeta era morto qualche giorno prima, eravamo in guerra e il ricordo di
Pascarella svanì molto presto per poi, giustamente, rinvigorirsi e riqualificarsi negli ultimi nostri anni.
Cesare Pascarella riposa al Cimitero del Verano di Roma, al riquadro 85 del Pincetto Nuovo,
sotto un' erma raffigurante la Poesia.
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