Page 6 - Su Pascarella
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giugno 1895, Pascarella ha 33 anni, con l'inseparabile amico , il conte Diego Angeli, parte per
raggiungere Venezia a piedi. Ma arriva soltanto lui perché il suo compagno non ce la fa più e si ferma a
Bologna.
È in vena di sfide: vuole traversare l' Europa a piedi e a nuoto: è il Tevere il suo fiume. Lo
conosce bene da quando era ragazzo, con tutti i pericoli di "mulinelli, riggiri, murelle, pennelli, mollacce
e mollaccioni". Ma lo ama lo stesso e lo chiama ( beati quei tempi ) " bello, biondo, ed antico."
Scommette un caffè per tutti gli amici del Greco gareggiando con i soci del Club Alpino a chi
raggiunga per primo la cima del Soratte secondo un determinato tortuoso percorso di 70 chilometri.
Gara pareggiata: gli sfidanti arrivano tutti nello stesso tempo. Ma Pascarella, il giorno stesso, ritornato a
Roma, per rifarsi, con atteggiamento un po' bullesco e smargiasso, traversa il Tevere a nuoto da una
sponda all'altra. Ha dimostrato chi è e si sente adesso con l'animo in pace.
Vede con simpatia i gatti ma non li vuole per casa. Forse, per personale riferimento al suo
soprannome, tiene con sé una scimmietta; gli muore tisica e ne rimane molto scosso. Verso la fine dell'
800 è andato ad abitare col padre in un quarto piano in via Laurina sopra il vecchio negozio di sali e
tabacchi. Nel terrazzo, come in tutti gli altri terrazzi delle sue successive case, coltiva con competenza e
quotidiana attenzione un gran numero di bellissime piante e fiori preziosi mescolati in un bric à brac di
cianfrusaglie, di ferri battuti, lanterne, ceramiche e lapidine. disposte in una maniera così bizzarra e
stravagante che il guazzabuglio non può che riecheggiare l'interno della Capponcina dannunziana o lo
studio del Marchese Campana. All'aperto. Ma è l'epoca. È qui, in questa artistica confusione d'epoca
che vive dolorosamente la sua misantropia.
Grande sua passione sono i viaggi: li intensifica in Italia e in tutta Europa. Si spinge pure in
Giappone, in Abissinia, nel Nord America. Vuole, a 70 anni provare l'ebbrezza del volo e con gli assi
dell'aviazione Ferrarin e Del Prete compie un giro sull' Italia. Dopo qualche tempo scriverà
un'emozionata lettera a D'Annunzio sulla visione del Gran Sasso dall'alto.
È diventato elegantissimo nel senso più normale e mondano della parola: abiti impeccabilmente
stirati, colletto e polsini inamidati, cravatte intonate. "D'estate - ricorda Leonetta Cecchi Pieraccini nel
suo fondamentale Visti da vicino - si mette la paglietta e gli abiti bianchi, sempre miracolosamente freschi
e lindi: non porta mai pastrani."
Solamente con gli amici più cari riesce a nascondere la solitudine che ormai lo ha preso; esce
molto raramente, è in assoluta chiusura verso persone ed eventi.. Oltretutto è sempre più sordo. Per
fortuna c'è sempre un piccolo gruppo di estimatori ai quali permette la visita e la gradisce. In queste
occasioni si abbandona a lontani ricordi, specialmente quelli del mondo e della società romana che non
c'è più, delle aspettative sempre più scarse, dell'assillo di Storia nostra che non va né avanti né indietro. È
il cruccio che gli rimarrà per tutta la restante vita.
Tra gli amici che affettuosamente lo assistono e gli sono vicini ci sono particolarmente i Cecchi
con il loro salotto della domenica aperto a tutta l'intelligenza letteraria degli anni '20 e '30: Baldini,
Bartoli, Alvaro, Longanesi, Frateili, Fracchia e tanti altri. Pascarella, cosa dell'altro mondo, non par
vero, vince la sua scontrosità e molto spesso va nella celebre casa di Corso d'Italia. Conosce Luigi
Pirandello l'unico con il quale lega al punto di leggergli qualche sonetto di Storia nostra. Emilio Cecchi è
anche il direttore artistico della Cines, la gloriosa Casa cinematografica romana, e certo di fargli un
piacere, per incuriosirlo, lo porta a vedere gli studi per la ripresa dei film in via Vejo, fuori Porta San
Giovanni. Ma il cinema non lo interessa, lo ritiene una pagliacciata e il giorno stesso della visita va via di
corsa facendosi polemicamente, lui mangiapreti, il segno della Croce. Non ha letto o dice di non aver
mai letto la poesia di Trilussa: la stessa cosa dice Trilussa di lui. Sì, si sono conosciuti, ma molto poco
da giovanissimi poi, da che entrambi hanno spiccato il volo, non si sono più incontrati. Uno di loro due
è di troppo. Un certo giorno, intorno al 1929, Cecchi gli chiede di poter far avere in visione a Mussolini
il manoscritto di quanto aveva composto fino a quel momento di Storia nostra. Il Capo del Governo sta
pensando alla composizione dell'Accademia d' Italia. Il Poeta non accetta. Racconta ancora Leonetta
Cecchi Pieraccini: " Non vorrei essere frainteso, ma non posso; nei manoscritti non c'intendo più
neanche io, e stampare quella roba non è possibile perché non è finita. Stavo tanto bene, perché mi
vengono a tormentare ? Io sono riconoscentissimo della cortesia che mi si vuol usare e di riceverla da
Mussolini al quale riconosco una forza superiore, ma tu lo sai, io ho sempre lavorato per me e per il
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