Page 28 - Genta a Roma
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da  vero  professionista,  la  sua  prestazione  era  compresa  nel  prezzo,  molto  caro,  stabilito  dal
            proprietario  per  le  consumazioni.  Del  Pelo  era  giudicato  un  vero  artista  della  chitarra  e  il  suo

            repertorio  strappacuore,  sussurrato  con la  sua  voce  commossa,  fece  versare  più  di  una  lacrima
            alle  signore.  Preso  dall’"animus"  a  lui  proprio,  piangeva  commuovendosi  alle  sue  stesse
            esibizioni. Così, un po' alla volta, da pettegolo "dopo teatro", l’Ulpia con Del Pelo si trasformò in
            un  bizzarro  luogo:  un  salotto  antico  romano,  scarsamente  illuminato,  dove  fra  una  crepe,  una
            lacrima e un whisky ci si poteva abbandonare al più struggente piagnisteo alla chitarra.
                   Il numero di Del Pelo cominciava con musiche spagnoleggianti, di grande e sicuro effetto,

            anche  per  i  poderosi  colpi  al  legno  dello  strumento  che  il  maestro  assestava  e  in  cui  era
            inarrivabile. Le varie violetere, cumparsite, amapole, spagnole che sanno amar così, bocca a bocca la
            notte e il dì…. Poi toccava il sentimento con Cara sposina e Parlami d’amore, Mariù per entrare infine
            a briglia sciolta nel genere romanesco immergendovisi e suscitando la più profonda commozione

            e  la  più  intensa  nostalgia.  Erano  canzoni  tristi  o  anche  spensierate  (ma  che  dalla  sua  bocca
            diventavano  tutte  dolorose),  di  grande  successo  popolare  e  divulgate  anche  da  altri  artisti:
            Stornellata romana, La romanina, Chitarra romana, Barcarolo romano, ecc.
                   Ma il suo piccolo grande successo rimase Casetta de Trestevere che proprio lui compose sulle
            parole di Alberto Simeoni e di Ferrante Alvaro de Torres, canzone premiata con medaglia d’oro
            alla Festa di S. Giovanni del 1931:


                                         No, nun è gnente, è un po' de calcinaccio
                                         aspettate me tiro un po' più in qua.
                                         me metto bòno bòno e che ve faccio?
                                         sfasciate puro ch'io ve stò a guarda' .


                                         E sotto quer piccone traditore
                                         come quer muro me se sfascia er còre.


                                         Casetta de Trestevere
                                         casa de mamma mia,
                                         tu me te porti via
                                         la vita appresso a te

                                         Tutti li sogni cascheno
                                         mattone pe' mattone
                                         e in mezzo ar polverone
                                         già nun te vedo più...


                   Alla Taverna Ulpia passarono attori del teatro e del cinema, industriali e politici, italiani e
            stranieri,  quasi  tutti  per  ascoltare  Del  Pelo  e  la  sua  chitarra.  Qualche  nome  di  un  lunghissimo
            elenco: Balbo e Starace, Chaplin, Ford, Segovia, Chevalier e Bogart.
                   A perenne ricordo di  qualche indimenticabile pur se lacrimosa serata, gli ospiti illustri e

            meno illustri usavano apporre la propria firma sulla chitarra magistrale come si fa tutt’ora sulle
            gambe ingessate e sui registri dei funerali. Un nome per tutti: Nannarella (versione sbarazzina e
            romanesca di Anna Magnani).



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