Page 24 - Genta a Roma
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DANTE (Dante Ghirighini) Capotifoso della Roma
(1936-2000)
Dante Ghirighini, ma tutti lo chiamavano familiarmente solo Dante, era il prototipo del
tifoso romanista: non per niente era nato al Trionfale, uno dei quartieri più a forte tinta
giallorossa. Dante, spazzino municipale, è d’imponente corporatura, è schietto e gioviale,
sfacciatamente fazioso quanto può essere un acceso romanista e, grande dono, possiede una
possente voce da capopopolo d’altri tempi. Ma è, sopra ogni cosa, innamorato cotto della sua
squadra, un amore limpido e pulito, che lo trasforma, lui, così greve e grossolano, in un
personaggio di singolare purezza.
Già la sua nomina a capotifoso sembra presa da una favola: diventare capo della tifoseria
romanista (quasi centomila forsennati solamente allo stadio) è cosa quanto mai difficile. Non c’è
nessuna legge o regolamento che disciplini una carica che ufficialmente non esiste. Sarà allora una
presa di possesso di fatto, popolare, priva di un riconoscimento dalla società calcistica.
Si sta disputando il campionato di calcio del 1960 e c’è una Roma-Padova: niente di
eccezionale, una partita come tante altre, forse anche un po' noiosa. Improvvisamente, senza
nessuna ragione particolare, Dante, forse preso da un attacco folgorante di passione, scende in
campo, con una bandierona giallorossa, una solitaria invasione di campo. A questo punto le forze
dell’ordine, carabinieri, poliziotti, cani antisommossa, si precipitano su di lui. Non riescono a
prenderlo e a fermarlo. Dagli spalti c’è un grido solo di incoraggiamento, è quello per Dante, che
riesce a sfuggire per ben tre giri dello stadio. La partita, sonnacchiosa, si è trasformata in un’altra
cosa, inedita: una corrida. Un’ovazione al trasgressore e sonori fischi alle guardie quando Dante,
attorniato da tante divise è finalmente bloccato. Con questo fatto insolito e improvviso, Dante è
stato nominato sul campo, è proprio il caso di dirlo, capotifoso dei romanisti. Con un autentico
plebiscito, senza nessuna votazione, ma con l’unanimità popolare, con tutti i riconoscimenti
dovuti.
Per quarant’anni Dante è, a tutti gli effetti, il capo della tifoseria romanista. Va allo stadio
in Vespa, ha il suo posto fisso (lo chiama il ponte di comando), a metà e proprio al centro della
storica Curva Sud dell’Olimpico, dà il via e regola il suono cadenzato dei grossi tamburi che
accompagnano il tifo durante tutto l’incontro, dà il segnale per l’inizio dei cori, coordina, qualche
giorno prima, con i numerosi club giallorossi della città, la presenza degli striscioni e delle
bandiere che celebrano gli eroi del pallone (compresi quelli scomparsi ma sempre nel cuore) e i
soprannomi dei tifosi Fachiro, Tzigano, Fedayno e dei calciatori come Ago (stino Di Bartolomei)
e grandi presidenti come Dino (Viola).
Utilizza nei momenti più critici la mitologica potenza della sua voce: quando la Roma è
tutta in attacco o tutta in difesa, prorompe come un boato la sua incitazione "Daje Roma, daje"
che, dicono, si senta dalla Curva Sud a quella Nord, nonostante il caos di uno stadio affollato da
più di 80000 persone.
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