Page 19 - Genta a Roma
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ANTONIO CUGINI Tassinaro poeta
Che i tassisti siano soliti intrattenere i clienti sugli argomenti più vari non è una novità. La
conversazione fa parte del loro mestiere e, nella maggior parte dei casi, uno scambio di idee, una
comunicazione verbale è richiesta e gradita. Di solito si affrontano temi di attualità, di sport, di
politica. Naturalmente si parla di traffico e di malgoverno cittadino: sono mugugnatori di
professione. Sorprende il livello e la completezza della loro informazione, talvolta stupisce la loro
arguzia scanzonata e la loro cultura. Del resto, come dice il tassista Sergio Rossi, detto "er
poeta":"er tassinaro pe' accontentà er cliente / ce deve dialogà libberamente". E quindi se il
tempo dell’attesa per "affittare" è spesso lungo, specialmente oggi, i tassisti lo occupano
aggiornandosi e coltivandosi. C’è chi legge romanzi, riviste, giornali; chi sente la radio; chi si
esercita nelle attività più diverse. Per esempio, un simpatico quarantenne romano, Alessandro
Costantini, suona la tromba. Molti scrivono. Memorie, appunti, saggi, vicende fantastiche, poesie.
Sì, perché il nostro popolo, oltre a santi, eroi, navigatori annovera, come si sa, anche poeti in
abbondanza, di cui pure fra i tassisti c’è una degna rappresentanza. Ne circolavano parecchi anni
fa, ora forse meno e il già citato Sergio Rossi, autore in vernacolo di "Taxi a Roma turno di
notte", ne è un buon esempio.
Ma quando la Musa ci dà troppo dentro, la faccenda si fa seria. È il caso raccontato da
Emerico Giachery cui cediamo la parola. "Più di una volta incappai nel più pittoresco di questi
rimatori su quattro ruote, che si chiamava Antonio Cugini. Il cliente non faceva in tempo ad
accomodarsi nell’abitacolo e a comunicare l’indirizzo di destinazione, che veniva apostrofato con
le parole: «Lei non sa con chi viaggia». E, dopo un attimo di suspense: «Lei viaggia col tassista-
poeta». A conferma, veniva subito offerto "con sconto speciale per clienti del tassì" un volumetto
estratto dal cruscotto. Condiscendente per indole, acquistai i volumetti di Cugini".
Di questi, uno è intitolato Volare, ma non è un commento alla nota canzone di Modugno,
né un manuale su come raggiungere la destinazione del cliente a tempo di record nel traffico
cittadino, bensì una filippica contro l’uomo che ha costruito gli aerèi (licenza poetica per una rima
obbligata) per usarli poi in bombardamenti assassini.
L’opera principale, il vero capolavoro in cui l’autore ha espresso tutta la sua vena poetica e
la sua filosofia è un poema dal titolo jettatorio Sepolcreide in cui si vuole aspramente "denunciare
Urbis et Orbis" (sic!) la mendacità odiosa di quanto scritto in elogio dei defunti sulle lapidi in
contrasto con le "nefandità, sozzure e scelleratezze". che caratterizzarono la loro vita. Per
sviluppare questo concetto il Cugini utilizza ben quindici canti quindici in sestine, preceduti da
un Prologo e seguiti da un Epilogo. Nella sua introduzione l’autore avverte:"Mi accinsi a scrivere
questi versi dopo matura riflessione" e accosta – in verità con dovuta distanza e rispetto – la sua
fatica a quella di Foscolo e di Dante. Certo si deve ammettere che in questa farneticazione
ossessiva, in quest’orgia di endecasillabi dalla rima talvolta incerta c’è una forza antica di
cantastorie, condita di quella cultura classica, che non pochi danni spesso ha recato. E dire che il
poeta tassista non viene da scuole privilegiate ma dai campi ed "è un autodidatta che si maturò
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