Page 14 - Genta a Roma
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non poche perplessità ad accettarlo a causa dello stato di salute. Era così malandato che si
chiedevano:”Che ce ne facciamo di questo cerotto? ". Ma finalmente, il 2 febbraio 1924, davanti
all’altare di S. Ignazio la Compagnia di Gesù lo ammette, dopo dieci anni dall’ingresso, alla
solenne professione religiosa.
Talvolta partecipa nella parte del dotto, al Gesù, a quella tradizionale catechesi "Il dotto e
l’ignorante", che si teneva a Roma "per l’istruzione religiosa del popolo". "S’alza un palco nella
chiesa, e su questo salgono due preti, uno dei quali fa la parte del dotto, l’altro quello
dell’ignorante. Questo propone al dotto dei dubbi in materia di religione e il dotto glieli risolve.
L’ignorante, figurando un popolano, parla il vernacolo romanesco e condisce il suo discorso con
facezie e spropositi che fanno ridere l’uditorio".
Diventa, infine, cattedratico di diritto canonico alla Gregoriana, carica che manterrà fino
alla fine. È consultato e richiesto di pareri su spinose questioni dottrinali dalla Santa Sede, dalle
Congregazioni e Istituti religiosi, da vescovi e da cardinali. Pubblica manuali di insegnamento.
Partecipa attivamente ai lavori per la Conciliazione. È amico stimato di santi sacerdoti come Don
Orione, Don Calabria, Padre Pio. È lontano cugino di un altro che sarà addirittura papa e forse
futuro santo, Albino Luciani, ovvero Giovanni Paolo I. Tutte le estati, quando torna nel suo
paese per trascorrere le vacanze, lo trova giovane prete con licenza di confessare solo bambini, in
un confessionale davanti al suo, nella stessa chiesa, uno di fronte all’altro. La figura di Padre
Felice agli occhi del più giovane don Albino rimarrà sempre un riferimento e ne conserverà un
caro ricordo, anche da Pontefice. Diceva:”La sua compagnia è stata per me una benedizione".
Ma la sua "carriera" professorale, la sua dedizione all’insegnamento la sua cultura e le sue
relazioni nulla tolgono al suo servizio di umile confessore delle persone più bisognose. Sì perché
oltre a convertire noti personaggi come l’illustre clinico Tommaso Pontano, un noto trentatré
massone, e forse Curzio Malaparte, che avrebbe preferito consegnare la sua anima nera, per il
provvidenziale lavaggio finale, nelle mani pietose del modesto P. Cappello, piuttosto che in quelle
del più famoso gesuita P. Rotondi, piazzato stabilmente al suo capezzale..
Non trascurò mai nessuno. Sì, disponibile con tutti, pazientissimo ore ed ore, nel buco
nero del confessionale, ad ascoltare i casi degli altri. Non solo i Grandi Peccatori, che almeno
non dovevano essere noiosi, ma le beghine "che si erano distratte durante le preghiere", i timidi
che non riuscivano a parlare, i poveri che non si sapevano esprimere, le ragazze reticenti per
pudicizia, i matti e le persone disturbate che, dopo aver consultato medici e psichiatri,
approdavano da lui come all’ultima spiaggia, consigliati da qualche amico o familiare. Aveva
davvero tanta pazienza con tutti. Forse qualche volta si appisolava, specie quando, negli ultimi
tempi, per penitenza o per insonnia, tutto il suo riposo notturno consisteva nel dormicchiare un
po' su una poltroncina. Forse si distraeva. Ma c’era.
È per questo che dei tanti confessionali di Sant’Ignazio, solo il suo (con un po' di
disappunto degli altri confessori?) aveva un coda interminabile, che arrivava fino fuori la chiesa.
Si dovevano distribuire i numeretti di turno, come dal fornaio o nell’ambulatorio. Ed era davvero
un po' un’ambulatorio, uno studio medico, quel confessionale: luogo di cura per le anime, se non
per i corpi, dove, invece che pasticche, si distribuivano consigli, conforto, perdono.
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