Page 4 - Quando il voto era una novità
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indirette, addomesticate, brogli, sistema maggioritario, metodo d'Hondt, quozienti, pastette e
ammucchiate elettorali.
CARTA E COLLA
Di nuovo le elezioni. La gente vi si accinge come a un rito un po' stanco,
dispendioso, incapace di portare vere novità. Non è stato sempre così. Primavera
1946: Roma si preparava al referendum istituzionale e alle elezioni per l'Assemblea
Costituente.
Roma come in tutto il Paese, certo; ma qui, nella capitale, dove il Re, il Papa
e il Duce li si conosceva di faccia (mica c'era la televisione a render familiari tutti a
tutti!), il clima era speciale. Finito rovinosamente il Ventennio, riposte per sempre le
rivendicazioni imperiali con tutto il loro trovarobato (quadrate legioni, saluti romani,
ludi iuveniles, centurioni, biscotti "Ave Roma"), ci si preparava a voltar pagina
veramente. Della vita e dei costumi democratici non si sapeva, non si ricordava
quasi più nulla.
Un'ultima (unica) traccia delle passate competizioni elettorali rimaneva, sì,
ben radicata nel linguaggio comune, ma inconsapevole per i più. Chi avrebbe saputo
spiegare, infatti, che "er barzilai", amabile denominazione gergale della caraffa che
misura i due litri di vino, derivava il suo nome da quello di Salvatore Barzilai,
triestino irredentista repubblicano eletto ripetutamente deputato dal rione
Trastevere a cavallo del secolo, il quale soleva farne omaggio ai suoi sostenitori?
Nelle orecchie risuonava piuttosto la spregiativa espressione mussoliniana
che definiva le elezioni "ludi cartacei" e di carta, in verità, anche in quelle prime
competizioni democratiche e nonostante la sua penuria, ne andò via parecchia. A
parte i giornali, nati come funghi dopo la pioggia o rinati dopo l'epurazione con
l'aggettivo "nuovo" accanto alla vecchia testata ad accettarne la democraticità, Roma
era inondata di manifesti. Qualcuno ancora se li ricorda, sfumato miraggio
multicolore attraverso i vetri smerigliati dei tram (l'ATAC non aveva trovato quelli
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