Page 37 - Genta a Roma
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FERRARIS IV (Attilio Ferraris)                            Calciatore mitico
            (1897-1947)





                   Persino i romani, che debbono una solida fama di cinici allo splendido epiteto "fanatico"
            con  cui  bollano  chiunque  ecceda  –  anche  lievemente  –  in  passione,  in  sentimento,  persino  i
            romani talvolta si lasciano andare. Non erano forse "fanatici" quei diecimila tifosi che si facevano
            quattro chilometri a piedi, dal capolinea del tram a S. Giovanni al Motovelodromo Appio in piena

            campagna  per  vedere  giocare  la  Roma,  appena  nata  da  un  accordo  "raggiunto  con  rapidità
            fascista" fondendo Fortitudo, Alba e Roman? E come chiamare quelli che per sconsiderata gioia,
            con una Roma strepitosa vincente 2-0, avevano invaso il campo e costretto gli stupefatti giocatori
            giallorossi  a fuggire  in  mutande  balzando  su  taxi  e carrozzelle?  Niente da  fare:  al cuore  non  si

            comanda, neppure a Roma.
                   E  quel  cuore,  quei  diecimila  cuori  per  l’esattezza,  batteva,  battevano  forte  quando
            appariva  il  mitico  capitano,  il  "biondino  di  Borgo  Pio",  Attilio  Ferraris  IV.  Forte,  generoso,
            simpatico  Ferraris  IV  (aveva  altri  tre  fratelli  calciatori):  una  leggenda  vivente.  Genio  e
            sregolatezza,  grande  giocatore  e  grande  amatore,  arriva  allo  stadio  quando  gli  altri  sono  già
            schierati, sempre ultimo agli allenamenti ma, in campo, sempre il primo. Entra a far parte della

            nazionale.
                   Le  sue  entrate  in  scivolata  e  le  sue  sforbiciate  sono  presto  famose:  più  famosa  di  tutte
            quella che manda il cecoslovacco Puec a sbattere la testa parecchi metri più in là durante la finale
            mondiale del ‘34 (dopo pochi minuti Puec rientrerà nello stadio con la testa fasciata per uscirne,
            alla  fine  della  partita,  abbracciato  a  Ferraris:"O  gran  bontà  de'  cavalieri  antiqui….  ").  In  ogni

            incontro corre  come  un  ossesso,  dal principio  alla  fine.  Al  termine  si mette  sdraiato su  di  una
            panca dello spogliatoio e non si muove per almeno mezz'ora. Ha dato tutto.
                   Attilio  Ferraris  è  romano  ma  di  famiglia  piemontese:  un  italiano  perfetto,  insomma.
            Proprio contando su queste origini la Juventus, che lo ha adocchiato, manda, agli inizi della sua
            carriera  due  emissari  dal  padre  per  strappargli  il  consenso  del  trasferimento.  Ma  il  vecchio

            Ferraris, che li riceve nel suo laboratorio di bambole ai Borghi, rifiuta reciso le ventimilalire (!)
            offerte,  rispondendo  nobilmente:"Signori,  vi  ringrazio  per  la  generosa  offerta  ma  non  ho  mai
            venduto mio figlio e non intendo farlo adesso".
                   Campione anche d’onore e di fedeltà, il giocatore. Ingaggiato dalla Lazio (succede) impose
            per contratto di non dover mai scontrarsi con  la sua  Roma, cui  del resto tornò ben presto per

            finirvi la sua carriera.
                   Anche la vita finì da par suo: giocando una partitella fra amici, per un attacco di cuore che
            chiuse il cerchio perfettamente. A  cinquant’anni,  nel  1947,  a  Montecatini,  durante una  vacanza
            termale.
                   Nelle  orecchie,  nella  testa,  nel  cuore  di  molti  cinici  romani  (quelli  che  danno  del
            "fanatico" a chiunque ecceda – anche lievemente – in passione, in sentimento) ancora riecheggia





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