Page 60 - Genta a Roma
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RICCARDINO                                                          Temibile capo claque
            (Attivo negli anni 1940 – 1965 circa)





                   L’applauso per gli attori è tutto; è il loro pane, l’unico vero sostentamento perché più che
            il guadagno, la celebrità e il successo è proprio l’applauso che li soddisfa e li appaga al massimo.
            Che  gioia  un  teatro  pieno  zeppo  di  pubblico  e,  soprattutto,  di  spettatori  plaudenti!  Quale
            meraviglioso piacere poi ricevere un "applauso a scena aperta", il cosiddetto "panetto", non per

            niente diminutivo di "pane", cioè metaforico nutrimento?
                   L’applauso  negli  spettacoli  è  perciò  indispensabile  agli  attori  ma  anche,  per  le  sue
            conseguenze  economiche,  agli  impresari..  Quindi  accortezza  e  cautela  vogliono  che  l’applauso
            venga sostenuto e organizzato tramite l’onomatopeica claque: un gruppo di persone reclutate e

            pagate per applaudire o, comunque, manifestare aperta approvazione nel corso dello spettacolo.
            È un’usanza antica, tant’è che se ne trovano tracce nel teatro greco e nell’Antica Roma (Nerone
            disponeva  della  bellezza  di  5000  "fautores"  per  sostenere  le  sue  pubbliche  esibizioni)  e  anche
            durante  il  Medioevo  e  il  Rinascimento  sulle  piazze  e  nelle  corti  d’Europa  non  mancavano
            spettatori prezzolati per applaudire. Ma l’impiego della claque trova la sua massima affermazione
            nel Settecento con la fortuna del melodramma, condizionando il successo o l’insuccesso di uno

            spettacolo.  Hector  Berlioz scrive  nel  1852  un  lungo  saggio sulla claque che  contiene  anche  un
            divertente dizionario del gergo dei professionisti dell’applauso con le differenti "specializzazioni":
            ci sono i "topageurs" (quelli che gridano entusiasticamente), i "bisseurs" (quelli che richiedono il
            bis),  i  "pleureurs"  (quelli  che  piangono  senza  ritegno).  Dei  veri  attori,  anche  loro,  insomma.
            Nell’Ottocento  vengono  addirittura  stabilite  le  tariffe  per  ogni  tipo  di  applauso:  dai  cinque

            franchi  dell’"applauso  semplice"  e  dell’"effetto  dell’orrore",  ai  quindici  del  "mormorio  di
            spavento", ai cinquanta del "numero illimitato di chiamate".
                   Tutto  meno  complicato  nella  claque  del  Novecento  romano.  È  un  procedimento  più
            familiare, alla buona, senza paga, senza lacrime. È soltanto richiesta una serie di applausi, guidati,
            da fare al momento giusto. Niente altro. I reclutati, da parte loro, si accontentano di andare gratis

            a teatro sottoponendosi soltanto a questa non massacrante fatica.
                   Qualche richiesta particolare, invece, per la claque del teatro lirico: ci vuole, per esempio,
            un’abilità specifica per lanciare dal loggione il mitico mazzo di fiori proprio ai piedi del soprano,
            a sipario calato, al termine della rappresentazione. Il bar di via Torino e il bar di seconda classe
            della stazione Termini, entrambi vicini al Teatro dell’Opera, sono i posti dove viene scelta questa

            élite.
                   Per gli spettacoli di prosa e rivista i punti di reclutamento sono invece in luoghi appartati
            ma non lontani dai teatri dove si svolgeranno le rappresentazioni: l’Argentina, il Quirino, il Valle,
            l’Eliseo, il Quattro Fontane e il Teatro delle Arti. E  allora  andranno benissimo la piazzetta dei
            Massimi, dietro piazza Navona, il vicolo cieco nella parte alta di via della Mercede, il vicolo dei
            Lucchesi  (in  fondo  a  via  della  Dataria)  e  l’allora  Galleria  S.  Marcello,  davanti  al  cinema

            Modernissimo, sala A e sala B.


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