Page 61 - Genta a Roma
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Una quarantina di minuti prima dell’inizio degli spettacoli, arriva il capo claque. È
Riccardino, il più noto e considerato della categoria. Riccardino è un uomo di una sessantina
d’anni, un po' claudicante, con i capelli bianchi e lunghi che ricordano Listz, di abbigliamento
dimesso; porta però un cappello scuro e floscio adatto per la sera e ha il bastone: un appoggio o
un segno di comando? Di modi decisi e perentori sa di essere un’autorità e di dar fiducia.
Conosce bene l’ambiente teatrale romano: è lui, solo lui, che sceglie uno per uno i "clacchettari" e
li manda deciso e impassibile a questa o a quest’altra destinazione. Il suo occhio è imbattibile:
non farà mai una brutta figura né con i capocomici né con gli impresari. I prescelti, divisi per
gruppi di otto/dieci, vengono affidati e accompagnati ai rispettivi teatri dagli uomini di fiducia
del capo claque: saranno costoro che, con il proprio applauso, daranno il via a quello più
consistente e sostenuto degli ingaggiati.
Di Riccardino si sa pochissimo. È conosciuto solo così, senza il cognome Riccardino e
basta. Forse è umbro o marchigiano. Il suo lavoro, quello stabile, pare sia ai telefoni, essendogli
scappato detto una volta di aver facilitato un noto attore per una richiesta telefonica che si era
arenata, ma anche si vocifera che un tempo abbia fatto il suggeritore. Non si sa dove abiti, arriva
sempre da direzioni diverse; non si sa se abbia famiglia o meno. Gli si attribuiscono
maliziosamente morbide tendenze.
I suoi uomini di fiducia, con i soliti misteriosi soprannomi, diventeranno anche loro capo
claque: sono Ugo, detto "il Gobbo" o "il Gobbetto" noto perché al reclutamento indossa sempre
un vistoso cappotto di cammello (un riferimento alla gibbosità dell’animale?) e Cruciani (questa
volta è un cognome), detto "Rigadritto", conosciuto per la sua severità. Anche la loro vita è
oscura, occulta e segreta.
Qualche volta la claque stravolge il suo originario scopo e viene usata per determinare
l’insuccesso di uno spettacolo. Memorabile la prima de La piccola città all’Argentina nel 1940
quando un gruppetto organizzatissimo fornito di chiavi per produrre fischi più sonori, entrò in
funzione per far cadere la commedia di Thornton Wilder, opera straniera mal sopportata dal
regime autarchico. Ma il successo prevalse, senza alcun bisogno di claque a favore; un successo
spontaneo con le indimenticabili lacrime di Elsa Merlini, grande protagonista: lacrime di rabbia
per la fastidiosa presenza di fischi organizzati e lacrime di gioia per l’inaspettata novità degli
applausi sinceri.
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