Page 55 - Genta a Roma
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affida  le  sue  speranze  di  rinascita  a  una  riedizione  di  Quo  V adis?,  quello  che  era  stato  il  film
            italiano di maggior successo, applaudito, a suo tempo, perfino dai reali d’Inghilterra. E così, nei

            primi giorni di febbraio, davanti ai cancelli dello stabilimento (è al Celio, di fronte alla basilica dei
            Ss. Giovanni e Paolo,  in una porzione  di villa  Celimontana),  si  accalca  una  folla di  speranzose
            aspiranti  comparse.  Fra  loro  c’è  il  nostro  Augusto  Palombi,  monticiano  quarantacinquenne,
            modesto  orologiaio  che  talvolta  arrotonda  gli  scarni  proventi  con  una  "comparsata":  scapolo,
            vive  serenamente  con  un’affettuosa  sorella  più  grande  e  non  immagina  certo  che  il  suo  nome
            finirà presto (ahilui) su tutti i giornali.

                   Per il Quo V adis? le cose cominciano ad andar male sin dall’inizio e seguiteranno ad andar
            peggio oltre l’uscita nelle  sale:  vertenze giudiziarie  sui  diritti d’autore,  conclusesi tutte  a  danno
            della  produzione;  numerosi  interventi  della  censura  i  cui  tagli  danneggiano  o  eliminano  alcuni
            voluti  e  maliziosi  richiami;  la  morte  di  una  persona  durante  la  lavorazione;  un  processo  per

            omicidio  colposo.  È  un  film  costoso  e  sfortunato  che  viene  accolto  malissimo  dal  pubblico  e
            dalla critica e contribuirà al misero fallimento dell’U.C.I.
                   E pensare che  questo secondo  Quo V adis?  è  impostato e studiato con molto scrupolo e
            serietà: una preparazione di oltre due anni; un cast di sicura presa col tedesco Emil Jennings nella
            parte del folle Nerone e l’attrice dannunziana Elena Sangro che incarna la seducente Poppea; un
            regista  di considerazione internazionale,  il  tedesco Georg Jacoby, affiancato  da  un  cognome di

            chiara  fama,  quello  di  Gabriellino  D’Annunzio,  figlio  del  Vate;  grandiose  ricostruzioni  dell’età
            imperiale  curate  da  Armando  Brasini,  il  molto  celebrato  e,  una  volta  tanto,  "vero"  architetto
            romano. Non possono mancare i ricorrenti elementi e gli insopprimibili orpelli per una messa in
            scena  all’anticoromana:  baccanali,  danze,  orge  e  grappoli  d’uva,  piscine  e  lavacri  di  giovani
            bagnanti,  triclini,  incendi,  croci,  martiri  cristiani,  leoni  per  mangiare  i  suddetti.  Proprio  i  leoni

            saranno la causa dell’incidente più grave che il 5 febbraio capita sullo iellato film: un leone, anzi
            più precisamente una leonessa, dal nome "Europa", durante la prova di una scena, Il martirio dei
            cristiani sbranati dalle belve,  dilania un figurante. La vittima è proprio il povero Augusto Palombi,
            felice e tranquillo di guadagnarsi in pace la giornata. Oltretutto, come comparsa antico-romana,
            non riveste per l’occasione l’eroico ruolo di uno dei tanti martiri cristiani ma quello, più comodo,

            di  uno  dei  tanti  dell’anonima  folla  seduta  sulle  gradinate,  placidamente  avida  di  spettacoli
            sanguinari.
                   Nel cinema muto italiano le belve sono state sempre di moda: è il pubblico che le vuole,
            possibilmente  spietate,  per  soddisfare  il  desiderio  di  emozioni  forti.  Cosicché  anche  per  Quo
            Vadis?  la produzione  stringe  un  accordo  per  la  fornitura di  trenta  leoni  con  il  capitano Alfred

            Schneider, un ex ufficiale dell’esercito tedesco che è ora domatore del circo Kepitow in scena al
            Politeama Adriano il fachiro Blackann "con lo sguardo addormenta i coccodrilli".
                   Proprio all’Adriano  uno dei  leoni se  la prende, chissà perché, con un giovanetto seduto
            nella prima fila e, fissandolo, gli ruggisce contro ininterrottamente; con grande fatica e con l’aiuto
            di  forconi  riescono  ad  allontanare  la  cocciuta  fiera.  Qualche  giorno  dopo  un’altra  belva  del
            capitano Schneider,  la  leonessa Helvetia,  getta  lo  scompiglio  alla  Palatino film:  sfuggita  per  un

            attimo  al suo domatore,  tra  le  tante  costruzioni del  film,  si  avventa  contro la  lettiga  che  porta


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