Page 12 - AFA - Antologia sull'insopportabile caldo romano
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10 luglio 1858- Io sono in procinto di andare a Firenze, desidero muovermi e
ristorarmi in un clima più puro.
2 aprile 1859- La primavera è venuta. Tutto è in fiore. Ho paura dell’estate.
2 maggio 1859- A Roma fa un caldo soffocante come se nell’aria covasse qualche cosa
d’infausto.
11 luglio 1859- da Nettuno: Il caldo mi ha cacciato da Roma. Sono venuto qui il
7 alle 5 di mattina e ho preso dimora in casa Fiorilli.
13 agosto 1861- da Genazzano: Dal principio di questo mese il caldo è salito ad
un grado insolito: a Roma deve essere insopportabile.
19 agosto 1861- da Genazzano: Questa sera ritorno a Roma; il caldo
straordinario ha mandato a monte i miei lavori, i risultati di 44 giorni sono molto
meschini.
(Ferdinand Gregorovius, Diari romani, a cura di Alberto Maria Arpino,
Avanzini e Torraca editori, Roma, 1967).
….Ne la ricostruzione dell’Urbe iniziata da Nerone subito dopo l’incendio del 19
luglio 64…. le case vennero rifatte, ma non più così alte, le strade spaziose, tirate a
linea; le piazze ampliate e aggiunti i portici….l’innovazione non tornò a tutti gradita,
poiché le vecchie dimensioni erano considerate da taluni più opportune, ritenuto che vie
strette e case alte “facevano qualche rezzo alle vampe del sole, che in queste larghe e
aperte diritturesferza e riverbera più rovente“ (Tacito, Gli Annali, volgarizzati
da Bernardo Davanzati.)
…La curiosa osservazione di Tacito ha una riprova in certe viuzze dei vecchi rioni,
rimaste salve dal piccone demolitore(pensiamo ai caratteristici angoli del Trastevere,
dei Monti, di Parione, di Campitelli e di Santangelo), dove anche in pieno meriggio
estivo, con tutta la canicola, si gode un rezzo ombroso. Ma in più, nella vecchia Roma
papale,c’era un altro sistema ugualmente buono contro il sole e contro la poggia,
costituito da una tipica servitù pubblica: “i trapassi dei portoni“. Fino al 1831,
provvide cure da parte delle Autorità avevano disposto che per comodità dei quiriti
fossero lasciati costantemente aperti e liberi diversi transiti, che riuscivano assai
proficui al viandante per abbreviare il percorso necessario per raggiungere l’uno o
l’altro punto d’una città vasta come Roma. Epperò, tutta una serie di palazzi era
esposta ad una serie di servitù: “il trapasso“, per cui ognuno poteva entrare da un
portone, girare beatamente per l’atrio e uscire per la porta postica o laterale.
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