Page 21 - Il mito popolare di Cola Di Rienzo
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E così il poemetto scherzoso, ma sicuramente affettuoso omaggio popolare al tribuno
da parte del poeta minimo Alfredo Gatti, conclude con una morale un po’ scontata, non c’è
dubbio, ma altrettanto sincera sui tribuni di ieri e su quelli di oggi. Differenza de tempi:
Certo, Cola sbajò, che poveretto,
lui fece un po' de bene e un po' de male,
s’insuperbì, ma er vizzio capitale,
te lo pagò co ’na stoccata in petto.
Era un tribbuno antico, è naturale,
che appetto a quelli d’oggi, ce scommetto,
ce sarebbe, parlanno co rispetto,
de fà ’na setacciata generale.
Er tribbuno moderno, me capischi,
pe’ quanto che je vada malamente,
ar massimo, se becca un po’ de fischi;
ma conserva la panza pe’ li fichi!
Quanto sarebbe mejo, francamente,
a rimpiagnèsse li tribbuni antichi!!
In un unico sonetto, dai toni più contenuti, Felice Calabresi (1893-1977), tratteggia il
pensiero politico e il disegno sociale e unitario che porta alla morte “l’urtimo tribbuno.” A
differenza del popolano Gatti, Felice Calabresi detto Felicetto, è un borghese romano
funzionario di una piccola società chimica al Corso Vittorio. Dal 1916 compone poesie e il
suo curriculum è quello d’obbligo ai poeti romaneschi: parole per le canzoni romane della
Festa di San Giovanni, collaborazione a fogli dialettali, medaglie e targhe ottenute in vari
concorsi. Pubblica tre raccolte di poesie: Perle romane (1930), Foje d’ortica (1932) e Buchi
nell’acqua (1940), ma il suo libro più noto è Frustrate (1948) per cui Trilussa, che gli era
amico, disegna la copertina. Ecco Cola de Rienzo, sonetto tratto da questo volume:
Cola de Rienzo, l’urtimo tribbuno,
lo vedi da la mossa, è er più infocato,
animatore e capo d’un riduno,
che nun poteva vede’ er patrizziato.
Un idealista, forse, esaggerato
che nun sapeva risparmià nessuno,
quanno che se trattava, sarv’ognuno
d’un aricchito avanti a un disgrazziato.
Fu prepotente, sì, però italiano,
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