Page 67 - Genta a Roma
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ROMOLETTO Madonnaro epilettico
(+1950)
Ha i capelli grigi e arruffati, una barba incolta, uno sguardo spiritato; trasandato e sporco,
ha un continuo tic nervoso che lo colpisce in tutto il corpo, specialmente nelle spalle. Si gratta
continuamente, anche senza le mani, strofinandosi la schiena sui muri. Pover’uomo: è Romoletto,
il più popolare disegnatore di Madonne di Roma. S’incontra spesso tra Monti, il Celio e
l’Esquilino, inginocchiato sul marciapiede, intento ad effigiare coi suoi gessetti volti di madonne,
di angeli e di santi, tutti soffusi di una singolare serenità. Durante l’esecuzione i movimenti
convulsi si attenuano, l’insieme del suo selvaggio e un po' pauroso aspetto sembra essere più
conforme al soave tema che sta svolgendo. Con alcuni straccetti bagnati cancella o ammorbidisce
le figure disegnate. Poi, d’un tratto, preso da irrefrenabili convulsioni, preda del "ballo di San
Vito", butta gessetti e straccetti, urla con voce roca e fugge gesticolando tra i passanti, cercando
di evitarli per non travolgerli e fargli male. Al termine della crisi, pieno di vergogna per lo
spavento e la confusione che ha procurato a tutti, riesce, ancora ansimante, a rifugiarsi in una
grotta ricavata da un rudere del Colle Oppio. È la sua casa, quando non si sdraia all’aperto sui
gradini di qualche chiesa.
All’interno del tetro antro archeologico sono depositati un’infinità di barattoli vuoti che
conserva e pulisce con molta cura. Per Romoletto questi contenitori di latta, di varie dimensioni,
un tempo utilizzati per il tonno o la conserva di pomodoro, sono la cosa più preziosa:
sostituiscono ripostigli, portafogli e cassetti che non esistono nella spelonca. Quando esce ne lega
alcuni e se li trascina rumorosamente dietro con nel suo vagabondaggio. Dentro ognuno ci sono
le sue misere ma indispensabili cose: i gessetti colorati, gli straccetti, qualche spicciolo, un pezzo
di pane.
I ragazzini di Monti, del Celio e dell’Esquilino, pur avendone timore gli vogliono bene e lo
rispettano; anzi qualche volta, con prudenza gli si avvicinano e gli offrono qualche merenda
appena sbocconcellata che lui accetta volentieri. Romoletto, forse per sdebitarsi delle attenzioni
ricevute, declama loro "Er fattaccio", mettendo in scena così un involontario teatro dell’assurdo.
Elemosina soltanto sigarette con un perentorio:"Famme fumà!" a chiunque gli capiti a
tiro. Con tutti gli sconnessi e violenti tremolii che lo assalgono, riesce, dopo molto tempo e
ringhiando, ad accendere con i fiammiferi la sigaretta, poi a mettersela in bocca e a gustarsi
finalmente la prima desiderata boccata di fumo.
Gli piacciono moltissimo anche le donne. Le ragazzette più svelte e scanzonate lo sanno e
lo provocano: qualcuna gli si mette davanti e, civettuola e ridicolmente vezzosa, gli passa davanti
ancheggiando e sculettando come facesse la passerella in un avanspettacolo. Si moltiplicano allora
le contrazioni muscolari del povero e voglioso spettatore, tenta di abbracciarla, si agita sempre
più ed urla rocamente alla fine un implorante e pietoso:"Viè da Romoletto tuo!". Dopo tanta
tensione emotiva e straziante sforzo fisico non regge più e stramazza a terra sfinito.
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