Page 71 - Genta a Roma
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Finito  il  numero  di  Mambo,  mentre  Ambretta  schiumando  dalla  fatica  e  dalla
            disperazione, tenta e  stenta  a liberarsi  dalle catene, Savitri presentando se  stesso come  "ancora

            un’altra  bestia";  si  leva  la  camicia,  poi  la  canottiera  e  rimane  a  torso  nudo.  Con  simulata
            indifferenza si mette un chiodo nel naso, un altro in un occhio e un altro ancora nell’altro occhio.
            Poi, così conciato, camminando alla cieca, passa con il piatto per raccogliere qualche lira, fra il
            raccapriccio e la pietà degli spettatori.
                   Una volta toltisi i chiodi inizia  immediatamente il numero successivo. Va davanti ad  un
            sacco di iuta sul quale sono allineate alcune spade, e sceltane una, si riversa all’indietro e ne ingoia

            la lama fino all’elsa.
                   E  per  finire,  l’attrazione  di  sicura  riuscita,  quella  col  fuoco.  Si  attacca  ad  una  vecchia
            bottiglia piena di petrolio, se ne fa una bella sorsata, tiene il liquido in bocca, avvicina a questa
            rapidamente un fiammifero acceso e sputa una vampata di fuoco che, verso l’alto, raggiunge un

            paio di metri. L’esercizio viene replicato almeno tre volte e se il vento tira contrario, il numero
            diventa rischioso per il pericolo di bruciarsi.
                   La  prova  suscita  qualche  piccolo  applauso  e  la  fiammata,  che  ha  riempito  l’aria  con  le
            esalazioni  del  petrolio,  conclude  malinconicamente  lo  spettacolo.  Ambretta,  sfinita,  è  riuscita
            finalmente a liberarsi dalle catene e a non farsi male con le spade. Si mette a fianco di Savitri per
            il  saluto  finale,  come  fanno  gli  attori.  C’è  con  loro  anche  Mambo  che  ringrazia  ritto  su  due

            zampette. Ma il pubblico, spietato e preoccupato solo di dover pagare qualche cosa, si è dileguato
            ed è rapidamente scomparso.
                   Un girovago con queste caratteristiche doveva attirare per forza l’attenzione di  Federico
            Fellini  sin  dalla  nascita  della  sceneggiatura  de  La  strada  per  alcune  notevoli  analogie  fra  i
            personaggi immaginari di Zampanò e Gelsomina e quelli reali di Savitri e Ambretta. Il regista e

            Savitri s’incontrarono  casualmente  a  Ronciglione,  l’uno  alla  ricerca  di  località  per  ambientare il
            suo film,  l’altro spinto dalla  quotidiana necessità di tirare avanti con i suoi  spettacoli  di strada.
            Fellini lo fece scritturare con il compito di curare alcuni aspetti della vita quotidiana degli artisti
            di  piazza.  Seguì  per  qualche  tempo  le  riprese,  poi  si  stancò,  questo  tipo  di  lavoro  non  lo
            soddisfaceva,  non  voleva dipendere da  nessuno.  E,  soprattutto, non  voleva  aspettare.  Figurarsi

            con il cinema. Scomparve inaspettatamente dalla troupe de La strada. Anche Rossellini lo chiamò,
            chissà per quale ragione. Savitri andò dal celebre regista, attese mezz'ora, poi sdegnosamente se
            ne andò. Non poteva aspettare i comodi degli altri.
                   Morti  moglie  e  cane,  Savitri,  vecchio  e  solo,  finì  di  campare  all’ospedale  dei
            Fatebenefratelli all’Isola Tiberina.


















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