Page 72 - Genta a Roma
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GLI SFONDATI Mangiatori a oltranza
La grande mangiata, o meglio la "magnata", come comunemente si dice in dialetto, è forse
al primo posto tra i piaceri della vita quotidiana romana. Non è solo un luogo comune che il
romano è "magnone", che il "magnà e beve" è una sua priorità, "Panza mia fatte capanna" è
l’autoesortazione, tutta romana, prima di cominciare un pasto; "‘A morto de fame" è una delle
invettive più cattive e crudeli. Impensabile un romano anoressico. Il "romano de Roma" è di
corporatura robusta, non è un buongustaio raffinato, è solamente affamato e divora voracemente
ogni cosa. È un orco, il risultato della cucina che lo nutre sin dall’infanzia: un’alimentazione
primordiale, ancora vicina a un mondo di pastori, senza nessuna delicatezza, fatta solo per
placare ogni appetito e soddisfare primitivi bisogni di fame.
Da qui discendono sfide, spacconate e scommesse che danno spesso origine ad abbuffate
e scorpacciate feroci, impietose e disperate.
Alcune di queste strippate, vero e proprio "esibizionismo pantagruelico", sono state
dettagliatamente registrate nel volume di Riccardo Mariani I (veri) bulli di Roma. Sì, è proprio nella
Roma bulla che impera maggiormente la "magnata" come segno di supremazia su altri
"magnoni"; i bulli, che vogliono primeggiare in tutto, aspirano a guadagnarsi il rispettoso titolo di
"er più" anche nel mangiare e bere:”Un Menotti, macellaio di Trastevere, beve dai sette agli otto
litri al giorno, e di quando in quando dà una misura del suo stomaco…. Una volta ingolla trenta
uova, uno scherzo! Perché un’altra sera, circondato dagli amici, si fa uno spuntino con un
abbacchietto di cinque chili sbocconcellato con mezza dozzina di sfilatini, il tutto a bagno in due
litri di vino.
Ridotto un po' maluccio, ma non di gola, e disoccupato, Menotti tira a campare facendo il
cameriere da Gaetano "er Cappellaro" in S. Maria in Trastevere. Un giorno, nell’estate del 1919,
Menotti è sfidato da un’altra buona forchetta, "er Cafabbo", temibile avversario. Lo scontro,
questa volta incrociando le forchette, ha luogo alla presenza di una tavolata di amici, delle due
parti. Chi perde, paga tutto. Ma perdere dal "Cappellaro", in competizioni simili, vuol dire pagare
una tombola, rovinarsi.
Questa sfida all’ultima forchetta vede arrivare al traguardo, a giudizio insindacabile della
giuria, primo assoluto "er Cafabbo": due chili di salsicce, un chilo e mezzo di "busicchi" (budelli
secchi di maiale), due chili di pesce, quattro chili di capretto, tre chili di pane, cinque litri di vino.
Quanto a Menotti, ha meritato speciale menzione, perché arrivato a ruota con due chili di
spaghetti, cento supplì, cinque chili di vitella (arrosto, in umido), quattro litri di vino, due chili
scarsi di pane.
Dopo aver mangiato per ore e ore, "er Cafabbo" e Menotti non vanno già al pronto
soccorso, perché scoppiano, bensì si recano alla saletta da ballo di via S. Francesco a Ripa, e là
danzano, e di nuovo bevono e mangiano con tutta la congrega.
Per sollazzo "er Cafabbo" ordinava alla trattoria Cacarella una cena per dodici. Andava là
Si metteva a capotavola. Aspettava un po' . Si lamentava degli amici che tardavano. Si faceva
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